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Ammodernamenti

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Soci UPA in visita degli Stabilimenti Bemberg di Gozzano (Lago d’Orta), autunno '62

Gli anni '70

Gli anni Settanta portarono novità strutturali nel sistema fiscale e nell’assetto amministrativo, che crearono sconvolgimenti soprattutto nell’artigianato, in cui la conduzione di tipo familiare venne messa a dura prova.

La riforma fiscale del 1973 e l’introduzione dell’IVA richiesero un radicale aggiornamento del tipo di gestione tradizionale degli uffici di ogni più piccolo imprenditore e mobilitarono l’Unione per fronteggiare tutte le richieste degli associati. Per di più in questo periodo di caos, che investì tutti indistintamente, fu abolita (1975) la fascia esonerata dei 5 milioni, per cui l’artigianato manifestò una forte preoccupazione. L’altra novità per effetto dell’art. 117 della Costituzione fu il passaggio delle competenze alle Regioni di Statuto Ordinario, che dal 1971 ricevevano in formale delega dallo Stato le competenze sulla normazione generale, compresa la formazione e il mercato del lavoro, e sugli interventi finanziari nell’artigianato. Alle Regioni dal 1974 erano trasferite le competenze anche in campo sanitario, per cui successivamente anche l’annosa questione dell’assistenza mutualistica per gli artigiani avrebbe dovuto uniformarsi alla nuova regolamentazione.

La congiuntura economica (recessione, disoccupazione soprattutto giovanile, aumento del costo del lavoro, invecchiamento delle imprese per rigidità dell’istituto dell’apprendistato) agli inizi degli anni Ottanta falcidiò soprattutto le imprese a carattere individuale, che si trovavano maggiormente scoperte, mentre le imprese a carattere societario ancora una volta resistettero fino alla ripresa. Il tanto atteso riordino dell’artigianato avvenne con la Legge Quadro n. 443 dell’8 agosto 1985, che ridefiniva la figura dell’impresa artigiana, determinava nuovi criteri per le rappresentanze nei Comitati Regionali e Provinciali Artigianato e stabiliva precisamente le deleghe regionali in materia. Parallelamente dalla Comunità Europea dei Dieci erano venuti riconoscimenti formali verso i diritti dell’artigianato, grazie anche all’azione efficace di Manlio Germozzi nella rappresentazione delle esigenze della piccola e media impresa italiana.

L’Unione Artigiani di Piacenza fece la sua parte presso la Confartigianato e insieme si adoperò presso gli associati per la crescita della cultura d’impresa, oltre che per la soddisfazione delle esigenze contingenti derivanti dalle dinamiche delle normative. La seconda metà degli anni Ottanta fu un periodo di transizione verso i cambiamenti portati dalla riforma Visentini, che aveva rivoluzionato il regime fiscale tradizionale, creando grandi problemi soprattutto ai piccoli imprenditori. Uno degli strumenti indispensabili per la nuova contabilità e per la creazione di banche dati omogenee era l’informatizzazione, che diveniva quindi l’obiettivo principale da raggiungere anche nei servizi agli associati, per cui l’Unione dovette in un primo tempo appoggiarsi a centri contabili esterni per far fronte alle esigenze ordinarie, ma tendere a rendersi autonoma per mantenere all’interno la gestione delle singole contabilità, con tutti i delicati risvolti della casistica. Sull’altro fronte organizzativo nel corso del 1985 era stata estesa la rete di collegamento territoriale con le aperture di Uffici di Zona a Castel San Giovanni, Bobbio, Carpaneto e Lugagnano e con il rafforzamento di quelli di Alseno, Vernasca e Cortemaggiore. L’organico complessivo dell’Unione consisteva in 27 unità lavorative, di cui 18 nella sede provinciale e 9 negli Uffici di Zona; per particolari servizi il personale della sede centrale si spostava anche negli Uffici di Zona, mentre quello in forza a Fiorenzuola aveva raggiunto la sua indipendenza gestionale con soluzioni proprie ed estendeva prestazioni anche nei comuni limitrofi.

Nel bilancio preventivo 1986 cominciò ad emergere la questione del cambio della sede, essendo diventata troppo angusta e di scarsa accessibilità quella di via Giordani; l’ipotesi avanzata dal Presidente Serena era rivolta al fabbricato in costruzione (tre piani con seminterrato di circa 1.400 mq) in via IV Novembre, che consentiva anche interventi funzionali alle esigenze degli uffici e per cui era possibile anche l’acquisto. Si optò tuttavia per la locazione, poiché si era stimato che l’ammortamento dei costi d’acquisto si sarebbe compiuto nell’arco di un trentennio e che lo sforzo economico, anche se assunto da una parte dei soci, sarebbe stato eccessivo e avrebbe azzerato il limitato residuo attivo di gestione. L’evoluzione delle dinamiche emergenti, segnalate anche dalle imprese associate, imponeva anche un ulteriore adeguamento dell’atto fondamentale, cioè dello Statuto, per perseguire più agevolmente le finalità della categoria, in particolare sulla mutualità interna, sull’esercizio e sulla responsabilità dei poteri volitivi, sulla previsione di mezzi finanziari a sostegno dell’organizzazione. L’integrazione più significativa fu quella apportata all’art. 12, dove furono previste l’adesione ad organizzazioni sindacali di area regionale e nazionale, la costituzione di consorzi o cooperative o società per concentrare prestazioni di servizi alle imprese con minor costi, l’assunzione di partecipazioni in società esistenti per ricevere ed erogare contributi di ogni genere. Alla fine del 1986 dunque le fasi critiche enunciate risultavano superate, il rafforzamento degli uffici territoriali, divenuti propriamente delegazioni senza più ricorso a collaborazioni esterne e sottoposti a dure prove da organizzazioni di settore concorrenti, era stato pienamente conseguito, la scelta della nuova sede in via IV Novembre era stata messa in atto.

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