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Dagli anni Novanta ad oggi

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I partecipanti a una riunione del Direttivo cittadino nel 1994

Il primo atto importante fu quello del 9 gennaio 1990, con cui si istituì il Fondo Artigiani Integrativo di Malattie e Infortuni (FAIMI), forma associativa tuttora vigente emanata dall’Unione senza scopi di lucro e con la finalità di “provvedere al rimborso delle somme che le imprese aderenti dovevano corrispondere ai propri dipendenti per il pagamento delle indennità di malattia per il periodo di carenza e delle connesse integrazioni economiche di malattia e infortunio”. Si trattava di un ulteriore sostegno alle imprese riversato a seguito delle quote contributive da loro accantonate e garantito dalla stessa Unione, che si impegnava a ripianare gli eventuali deficit.

Lo Statuto in 33 articoli disciplinava gli organi rappresentativi e direttivi e le modalità di fruizione delle agevolazioni. Ma, al di là di questo importante strumento assistenziale tutto piacentino, gli anni Novanta si contraddistinsero per l’introduzione nel ciclo produttivo di due nuclei normativi di carattere fortemente innovativo: la sicurezza sul lavoro e la tutela ambientale, collegate alle norme sulla qualità, e la costituzione del Registro delle Imprese. Da un lato la Legge 626 del 1994 imponeva prima di tutto uno sforzo enorme sia sul piano dell’informazione e della formazione di una nuova cultura, nell’imprenditore come nei quadri tecnici (particolarmente negli installatori di impianti) in ogni articolazione dei processi lavorativi, sia sul piano della prevenzione, la cui marcata incidenza dei costi (attrezzature, procedure, certificazioni) riduceva la redditività aziendale soprattutto nelle piccole imprese artigiane. Dall’altro lato la legge istitutiva del Registro delle Imprese intendeva cambiare in poco tempo una condizione tradizionale molto diffusa e legata alla spontaneità imprenditoriale, cioè trasformare le numerose società di fatto in società di nome collettivo entro il febbraio 1997, sotto pena della cancellazione delle ditte dal Registro; si trattava di un riordino razionale del settore, ma con l’aggiunta di oneri non indifferenti per gli atti legali e per la tassazione commisurata al patrimonio aziendale.

A tutto ciò si aggiungevano altre difficoltà, quella delle esigenze finanziarie in favore delle imprese di costruzione, per cui si diede vita alla Cassa Edile Artigiana Emiliano-Romagnola (CEDAER) onde recuperare autonomia economica nei confronti della Cassa Edile (ANCE), e quella delle trattative contrattuali. A questo proposito l’atteggiamento verso le organizzazioni sindacali confederali era predisposto non allo scontro, ma al confronto su tutte le questioni, aprendo la dialettica ai tre soggetti interessati, i lavoratori, i sindacati e gli artigiani, secondo i principi della democrazia partecipativa e del rispetto della pluralità degli interlocutori; i lavoratori in effetti non riconoscevano negli imprenditori artigiani una controparte vera e propria, ma una realtà a cui si sentivano professionalmente appartenenti.

Tutte queste e altre tematiche di ambito locale furono affrontate dal Presidente Pietro Bragalini, eletto nel 1993, che nelle sue relazioni annuali all’Unione rilevava anche le caratteristiche strutturali della situazione italiana, stretta da più lati da diverse difficoltà di sviluppo e dalla genericità di risoluzioni politico-economiche per uscire dalla stagnazione. Le imprese medie e grandi trovavano espansioni solo all’estero, nelle aree dell’Est europeo e del Sud-Est asiatico per minori e incentivanti costi di produzione, mentre alla diminuzione dei consumi interni corrispondeva una forzata sopravvivenza delle aziende meno forti. Tra le tante richieste di sostegno per lo sviluppo si levava anche una veemente denuncia contro la diffusa pratica del commercio sommerso e dell’abusivismo, fenomeni devianti all’interno del sistema economico e distruttori delle logiche di mercato. In questo panorama scoraggiante il richiamo al ruolo dell’Associazione era ancora più forte e motivato, in quanto essa proprio per la sua neutralità politica poteva svolgere nei confronti del Governo il compito di tutelare gli interessi della categoria, coincidenti con gli interessi generali dell’economia.

L’azione rivendicativa doveva essere portata in Parlamento per ridurre l’impatto della regolarizzazione delle società di fatto, per modificare la tassazione sulle imprese di nuova costituzione, per impedire in nome dell’equità contributiva l’introduzione di automatismi di accertamento fiscale, per rendere meno gravose e formalistiche le procedure inerenti la sicurezza. Nel 1998 cominciarono ad avvicinarsi gli enormi e nuovi problemi posti dalla caduta delle barriere doganali e dalla libera circolazione dei prodotti nei paesi dell’Unione Europea, che esponevano il mercato italiano al confronto diretto con i partner continentali, senza più l’aiuto della svalutazione della lira, per la quale, e non tanto per i minori costi di produzione, i prodotti italiani erano più appetibili. Il confronto tra le varie economie portava ancora una volta in evidenza gli elementi fondamentali della inferiore competitività italiana, cioé il costo del lavoro e la pressione fiscale, che invece avrebbero dovuto essere resi omogenei con quelli degli altri Paesi europei. L’introduzione dell’Euro come moneta unica, infatti, aveva creato solo apparentemente una parità monetaria e aveva lasciato immutate le differenze strutturali. Le questioni della logistica e dei trasporti in questo senso diventavano essenziali soprattutto per una realtà come quella di Piacenza, che avrebbe potuto rimanere in una posizione estremamente favorevole purché ne avesse approfittato con adeguati provvedimenti.

Un indicatore dell’efficacia dell’azione dell’Unione è la rappresentatività, che nel corso degli anni è aumentata notevolmente; è significativo che l’Unione sia presente attraverso i suoi membri nei principali organi economici e istituzionali di controllo: due organi collegiali dell’Amministrazione Provinciale e due regionali, due comitati del Ministero del Lavoro e uno del Ministero dei Trasporti, uno presso la Prefettura; presso la Camera di Commercio (CCIAA) l’Unione ha sette rappresentanti, di cui due in Consiglio di Amministrazione e Giunta. Un rappresentante si trova anche all’EPIS, l’ente preposto alla gestione del polo universitario. Competenza e autorevolezza quindi sono portate ai livelli decisionali e rendono grande visibilità all’Unione, che viene consultata in ogni sede importante. Nelle più recenti relazioni all’Assemblea dei Soci il Presidente richiamava il fatto che l’impresa artigiana si era gradualmente modificata e si era maggiormente avvicinata alla tipologia dell’impresa industriale tramite l’adozione della tecnologia, che ha ridotto sempre più l’intervento diretto e manualmente specializzato dell’uomo, e tramite l’utilizzo del capitale per il rinnovamento degli apparati produttivi. La tradizionale bottega, dove l’uomo con la sua lunga esperienza e la sua perizia era insostituibile, sopravvive solo nei mestieri artistici e altrove non esiste più, tanto che oggi un’impresa artigiana può sorgere improvvisamente dal nulla solo con l’aiuto del capitale e della tecnologia. Per questo anche la vita dell’Unione si deve adeguare ai grandi mutamenti per continuare l’opera di tutela degli interessi del settore, per erogare servizi all’altezza delle esigenze e per portare avanti in modo vincente l’iniziale sfida lanciata nel 1949. 

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