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La nascita di UPA

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Primo Convegno provinciale degli Artigiani - Conservatorio “G. Nicolini”

Gli anni '50

Le origini dell’Unione Artigiani risalgono alla primavera del 1949, essendo avviate anche aPiacenza la ricostruzione postbellica e la ripresa economico-produttiva, quando un ristretto nucleo di artigiani cominciò a riunirsi con lo scopo di costituire un organismo nuovo nelle finalità, il quale collegasse gli artigiani della città e della provincia e ne rappresentasse effettivamente i diritti alle provvidenze, di cui godevano altre categorie produttive. Anche in altre province italiane avevano cominciato a sorgere spontaneamente associazioni di imprese artigiane e, in una situazione economica prevalentemente agricola come quella emiliana, le prime iniziative partirono subito dopo l’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica Italiana, che all’art. 45 sanciva esplicitamente la tutela e lo sviluppo dell’artigianato

Dai Verbali delle Riunioni del Consiglio Direttivo si ricavano tutte le notizie utili per la ricostruzione della fase fondativa dell’Unione Provinciale Artigiani. Essa sorse per uscire con forza dall’immobilismo e dalla confusione, in cui si trovava il settore dell’artigianato piacentino, che era rappresentato da due Associazioni: la Libera Associazione Artigiani e laAssociazione Artigiani. La Libera aveva aderito alla Costituente dell’Artigianato senza avere preventivamente interpellato le singole categorie; l’altra Associazione, presieduta da uno dei Fratelli Manzotti e ubicata in via Cittadella 8, aveva arbitrariamente aderito alla neonataConfederazione Italiana Artigiani e aveva inviato una lettera alla Comunità dei Sarti di Piacenza con cui veniva indetta una Assemblea Generale per “illuminare” la categoria, provocando però la loro sdegnata reazione.

Nelle riunioni dei Sarti del 4 e del 21 febbraio 1949, infatti, vennero approvate tre mozioni, con cui si disapprovava l’operato della Libera, si respingeva la convocazione autoritaria dell’Associazione e si istituiva la Sezione Provinciale di Piacenza della Federazione Nazionale Sarti e Sarte d’Italia, che superava la tradizionale suddivisione territoriale tra nord e sud. Tuttavia se da una parte i sarti, i più competenti e intraprendenti nelle questioni professionali e molto uniti, si ritraevano su posizioni proprie e autonome, dall’altra lasciavano insoddisfatta la loro esigenza di avere uno strumento organizzativo ampio, rappresentativo e forte. Gli elementi di riferimento c’erano a livello nazionale: la Confederazione Italiana Artigianato(CIA), formatasi da una costola della Confederazione Generale Artigianato (CGA) con sede presso la Confindustria, appoggiata da esponenti della Democrazia Cristiana e laConfederazione Nazionale Artigianato (CNA), legata ai partiti della sinistra e ormai consolidata. In tutto questo subbuglio nasceva a Piacenza un nuovo corso con la prospettiva appunto di creare uno strumento organizzativo valido per tutto l’artigianato piacentino, ispirato però ai principi di “apartiticità” e di autonomia. Si trattava di una scelta molto coraggiosa che privilegiava l’esaltazione della professionalità artigiana e che si chiamava fuori dalla politicizzazione delle questioni socio-economiche, che in quegli anni era altissima. 

Fattori di forte difficoltà a livello locale erano determinati dal tradizionale individualismo e dalconservatorismo diffuso sia nel settore artigiano sia nel settore agricolo, mescolato alla diffidenza verso ogni forma di novità. Dunque fu per iniziativa di Carlo Graviani, presidente della Comunità dei Sarti, dei suoi colleghi Settimio Cervellera e Dante Marchi, dei due barbieri-parrucchieri Callisto Dosi Piero Grigioni e del falegname Mario Gasparini che nacque l’Unione Provinciale Artigiani. Gli altri sarti Cincinnato TubiMario Bergonzi e Giuseppe Ghizzini avrebbero aderito subito dopo.

L’Atto costitutivo, con allegato lo Statuto in 29 articoli ordinati in 5 titoli, fu approvato il 2 maggio 1949 presso il notaio Pio Astrua alla presenza dei sei promotori citati, che formarono il Consiglio Direttivo provvisorio presieduto da Graviani fino alle nomine dell’Assemblea degli iscritti da ampliarsi. L’Unione, la cui prima sede era posta in via Sopramuro 46, aderiva alla neonata Confederazione Italiana Artigianato, che sarebbe confluita sei anni dopo nella CGIA. 

La denominazione scelta, Unione Provinciale Artigiani, esprimeva il programma: il termine unione era più forte di associazione e significava anche un vincolo solidale e quasi familiare, mentre il termine provinciale indicava l’estensione dell’azione a tutto il territorio piacentino e ad ogni categoria produttiva. Nella prima seduta del 7 maggio 1949 nella sede di via S. Giovanni n. 7 il Presidente Carlo Graviani comunica di aver ricevuto numerose critiche per aver assunto la presidenza provvisoria e propone che sia nominato un altro membro; la proposta viene respinta e Graviani viene riconfermato fino alla prima assemblea generale, che avrebbe dovuto eleggere il presidente effettivo. Si decide di notificare all’Associazione Artigiani l’avvio dell’attività nella sede di via S. Giovanni n. 7 e di attestare l’impegno a “dare tutto il suo contributo per l’unificazione perché i rapporti fra tutti i veri artigiani siano improntati alla più serena e fraterna comprensione”. Tra le prime decisioni viene adottata quella di inviare i bimbi degli artigiani iscritti alla colonia montana di Cerignale, in “un complesso di case popolari di nuovissima costruzione completamente vuote”. Il Presidente si stava muovendo a tutto campo: aveva partecipato il 29 maggio al Convegno delle Associazioni Artigianedell’Emilia Romagna, che aveva richiesto ai competenti Ministeri provvedimenti in materia fiscale, giuridica e assistenziale in favore degli artigiani, prima di tutto il contenimento dell’aumento dell’I.G.E., e aveva avuto un incontro con l’Istituto Case Popolari di Piacenza per ottenere disponibilità ad assegnare lavori agli artigiani locali. Inoltre era stato a Cremona alla festa di S. Omobono, protettore dei sarti, per incontrare l’On. Lino Moro e alcuni dirigenti centrali, aveva avuto colloquio con l’On. Minoia per la partecipazione degli artigiani ai lavori del costruendo Palazzo della Borsa, preparava un dono per il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi in visita a Piacenza per l’inaugurazione del ricostruito ponte sul Po e proponeva di aprire una sottoscrizione per una somma da versare al comitato per la costituenda Facoltà Universitaria di Agraria. Egli si era adoperato anche per giungere all'unificazione dell’UPA con l’Associazione di via Cittadella, ma aveva ottenuto soltanto calunniose insinuazioni e aggressive ostilità.

Dopo un’intensa attività preparatoria affidata al ristretto organico (il segretario Pietro Foppiani, l’impiegata Sig.a Marchi, il consulente rag. Vecchi proveniente da Crema), si arrivò al primo Convegno dell’Unione il 7 novembre con i rappresentanti delle categorie aderenti, delle Zone Val Trebbia, Val Nure e Val d’Arda e di tutti gli iscritti. Dopo la relazione del presidente provvisorio Graviani e gli emendamenti ad articoli dello Statuto, si tennero le votazioni per l’elezione della Giunta Esecutiva (già chiamata Direttivo), dei Revisori dei conti e quindi delPresidente, che all’unanimità risultò essere Carlo GravianiVice Presidente fu scelto Giovanni Molinaroli. L’Unione iniziava così a pieno titolo il suo fruttuoso percorso. 

Nella prima seduta della Giunta Esecutiva del 17 novembre Giovanni Molinaroli propose un piano per far crescere effettivamente il neonato organismo con l’obiettivo di raggiungere entro l’anno successivo almeno 1.500 iscritti per garantire i mezzi finanziari all’Unione e per strutturare l’attività e i servizi; la provincia doveva essere suddivisa in diverse zone, ognuna da affidarsi ai singoli membri della Giunta per lo svolgimento di una “propaganda fattiva” con la presentazione del programma stabilito: 

  1. Mutua malattia 
  2. Macchinari Piano ERP
  3. Costituzione di Sezioni Artigiane nei comuni della provincia 
  4. Riunioni di Categoria 
  5. Soggiorni marini e montani per gli artigiani e i loro familiari 
  6. Colonie marine e montane per i figli degli artigiani 
  7. Accordo con il Consorzio Tecnico per l’istruzione professionale. 

Gli stessi membri della Giunta si ripartirono gli oneri della consulenza e della propaganda sulle questioni fondamentali, cioè vertenze sindacali, problemi fiscali e tributari, organizzazione e manifestazioni tecniche e culturali. Si stabilirono infine le quote di adesione da aggiornare ogni anno: mugnai £ 2.000 (attualizzabili in € 29,57), Barbieri £ 730, appartenenti ad altre categorie in Piacenza £ 1.030 e in provincia £ 930. Fu preparato un incontro con l’On. Lino Moro, del Gruppo Amici dell’Artigianato e propositore della legge sull’apprendistato, poiché si riteneva che la questione era fondamentale per sollevare gli artigiani dagli oneri contributivi e mutualistici. La questione tuttavia si incagliò a livello locale per la bocciatura del Regolamento sulla formazione degli apprendisti proposto dall’Unione a causa dell’approvazione di quello elaborato dalla Camera di Commercio presieduta dal Sen. Minoia. Successivamente si sarebbero trovate soluzioni soddisfacenti per entrambi gli organismi a seguito di un’apertura generale verso l’artigianato con la presentazione del disegno di legge su apprendistato bottegascuola e con l’istituzione di un sottosegretariato governativo. La considerazione dell’Unione cresceva gradualmente, poiché venivano chieste rappresentanze stabili nella Camera di Commercio, con la costituzione della Consulta Economica Camera Artigiana, e nella Commissione Tributi Locali. Fu accolta la particolare proposta di un rappresentante della Zona di Fiorenzuola, che prometteva di raccogliere 200 nuove adesioni e chiedeva di trattenere per sé la metà della quota a rimborso spese; l’esperimento si concluse faticosamente e lasciò luogo alle procedure ordinarie effettuate dalle Sezioni territoriali. 

La validità del programma promosso e delle argomentazioni era tale che la crescita fu esponenziale, per cui nei primi undici anni si passò da 75 a 2.723 iscritti, grazie anche ai rapporti di familiarità, di amicizia e di fiducia che si instauravano tra gli iscritti, che condividevano ogni risultato raggiunto e la spinta ideale per l’avanzamento nel riconoscimento dei diritti. L’unificazione con l’Associazione di via Cittadella era diventata ormai impossibile, poiché dopo innumerevoli ed estenuanti incontri l’Unione si trovava di fronte all’ostruzionismoe all’ostilità, nonostante l’intermediazione di dirigenti nazionali, tanto che si sfiorò l’apertura di un procedimento legale contro l’Associazione per calunnia e falso. Uno dei motivi di contrapposizione era il risentimento dell’Associazione per la progressiva diminuzione degli iscritti e la conseguente riduzione dei servizi di assistenza ai medesimi. I problemi organizzativi notevolmente accresciuti (950 pratiche tributarie, sindacali e legali nel 1951) furono affrontati volta per volta con determinazione ed efficacia, ma la questione della nuova sede rimaneva impellente; i locali di Cantone Cavalli n. 14 erano insufficienti e per di più erano inseriti in un contesto di uffici ecclesiastici, che mal caratterizzavano un’organizzazione autonoma e laica. Si era scartata la possibilità di avere locali presso l’Associazione Commercianti, cui peraltro era stata inviata una vibrata protesta da parte dei Sarti in quanto i commercianti di stoffe esponevano in vetrina pubblicità per abiti confezionati con grave danno per i Sarti, fino ad allora depositari dell’esclusiva del prodotto finito. La sede sarebbe stata poi trasferita a quelli più comodi di Cantoni de’ Cavalli n. 7, dove si tenne la riunione generale dell’Unione il 14 febbraio 1955, quando il bilancio era saldamente in attivo. Intanto il 20 aprile 1952 si era tenuta la seconda Assemblea Generale Ordinaria dell’Unione. La relazione del Presidente Graviani aveva toccato tutti gli aspetti principali: il superamento delle difficoltà iniziali, l’aumento vertiginoso degli iscritti, la trattazione di numerose vertenze sindacali e legali risolte, l’assistenza tributaria, i rapporti con gli enti esterni e particolarmente con la Camera di Commercio, i corsi di formazione professionale per apprendisti, i corsi di scuola popolare presso la Scuola “Alberoni” per gli artigiani adulti, la convenzione con l’Istituto italiano di Previdenza per sussidi sanitari, la coerenza culturale con gli antichi e nobili statuti cittadini. Nella riunione del Comitato Provinciale del 28 aprile vennero eletti gli organi direttivi per il biennio 1952-1953 e il Presidente, che risultò essere Giovanni Molinaroli con 22 voti su 24. Su proposta di Molinaroli, furono designati Carlo Graviani Consigliere dell’Unione a membro della Giunta Nazionale della Confederazione e Dante Marchi a membro della Consulta Artigiana presso la Camera di Commercio. Alla fine dell’anno successivo i soci iscritti erano saliti a 1.060 e il bilancio risultava in attivo di £ 81.000

Altre iniziative ancora vennero assunte: l’ufficio tributario interno affidato all’ex-responsabile dell’Ufficio Imposte e Tasse di Piacenza, la convenzione con le Case di Cura “S. Antonino, S. Rita e Piacenza” per riduzioni alle famiglie degli artigiani, l’adesione alla Confederazione Generale Italiana Artigianato (nella quale era confluita nel 1955 la Confederazione Italiana - CIA - con il conseguente affiancamento del termine Italiana a Generale), la scelta della nuova sede, con il sostegno delle prime spese da parte della Confederazione Generale. Il Segretario Generale Germozzi, che era stato in visita a Piacenza nell’aprile 1952, fu ancora presente allaRiunione Generale dell’Unione il 14 febbraio 1955, in cui Giovanni Molinaroli fu eletto Presidente per la terza volta. Gli argomenti centrali stavolta furono la nuova legge sull’apprendistato, entrante in vigore il 1 marzo dello stesso anno, pur priva di regolamento attuativo, e i tre premi per sistemi speciali per artigiani indetti dalla Camera di Commercio. 

Un evento di decisiva importanza fu la promulgazione della Legge 860 del 25 luglio 1955, che definì per la prima volta la figura giuridica dell’impresa artigiana e creò le basi per lo sviluppo normativo adeguato ed efficace di un settore complesso ed economicamente fondamentale. Essa declara all’art. 1: “È artigiana, a tutti gli effetti di legge, l’impresa che risponde ai seguenti requisiti fondamentali

a) che abbia per scopo la produzione di beni, o la prestazione di servizi, di natura artistica od usuale;

b) che sia organizzata e operi con il lavoro professionale, anche manuale, del suo titolare e, eventualmente, con quello dei suoi familiari; 

c) che il titolare abbia la piena responsabilità dell’azienda e assuma tutti gli oneri e i rischi inerenti alla sua direzione e alla sua gestione”. 

A questa legge fondamentale seguì la Legge 1553 del 29 dicembre 1956 sull’istituzione dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie per gli artigiani. Di grande portata era stata anche la Legge 25 del 19 gennaio 1955 sulla tanto attesa disciplina giuridica dell’apprendistato, che stabiliva provvidenze per l’avviamento giovanile al lavoro presso le botteghe artigiane. Il primo decennale di vita dell’Unione si concludeva così con una grande manifestazione celebrativa organizzata per il 17 maggio 1959, all’interno del Convegno Interregionale, con gli interventi dell’On. Fernando De Marzi, Presidente Nazionale delle Federmutue Artigiane, del Sottosegretario all’Artigianato On. Filippo Micheli e di Manlio Germozzi, membro del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. I risultati presentati erano lusinghieri: un utile di bilancio di £ 300.000 (attualizzabili in € 3.279,97) e 2.000 iscritticon quota individuale media di adesione di £ 2.000, la riconferma del Presidente Molinarolinella Giunta Esecutiva Confederale nazionale con voti 95 su 97, l’uniformazione dei contratti di lavoro nel primo contratto provinciale del 1957, la presenza di esponenti dell’Unione negli organismi economici e previdenziali pubblici, il nuovo Statuto più consono alle accresciute esigenze, approvato nella successiva seduta generale del 26 maggio 1960. Le modifiche apportate allo Statuto riguardavano sostanzialmente l’assetto organizzativo, previsto all’art. 16, per cui in seno ad ogni categoria i soci eleggevano un capo e due delegati, i quali ultimi entravano a far parte del Comitato Provinciale. Parimenti i soci residenti in provincia si riunivano in assemblee di zona, che eleggevano un fiduciario e due delegati, anch’essi entranti nel Comitato Provinciale. La definizione delle Zone denotava un’organizzazione ormai capillare e saldamente innervata nel territorio e nel tessuto produttivo. L’elezione del Presidente e dei tre Vice Presidenti dovevano essere fatte separatamente in apposita seduta successiva a quella dell’Assemblea Generale, mentre la Giunta era composta da 11 membri. Le competenze degli organi rimanevano sostanzialmente immutate. Per le spese di funzionamento dell’Unione era stabilito che le aziende associate dovessero versare un contributo annuo nella misura fissata dalla Giunta in rapporto alla consistenza dell’azienda, al numero dei dipendenti e alla zona di appartenenza, per cui non si attribuiva più una quota teorica fissa, ma una somma calcolata sulla dimensione dell’azienda. I soci erano 2.019 e alla fine dell’anno successivo crebbero ancora a 2.551.

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